La disposizione “salva Bonus” sia nella versione ordinaria che in quella “eccezionale” prevista dal DL 11/23 non ha per tutti lo stesso costo.
Era il 31 marzo 2023 il termine entro cui effettuare all’Agenzia delle entrate la comunicazione di opzione per fruire dello sconto in fattura o della cessione del credito avente ad oggetto i bonus edilizi.
Tuttavia, come sappiamo già dall’anno passato, è ancora possibile trovare una soluzione e avvalersi di tali possibilità per il tramite dell’istituto della remissione in bonis.
Tale istituto si rivolge a coloro che comunicano tardivamente all’Agenzia delle entrate l’esercizio delle opzioni.
Il contribuente deve effettuare il versamento della sanzione ridotta di 250 euro entro il termine previsto per la prima dichiarazione dei redditi utile.
La prima scadenza è quindi quella del 30 novembre 2023.
Per fruire di tale opportunità, secondo la “regola ordinaria” devono sussistere tutti i presupposti che consentono l’esercizio dell’opzione.
A tal fine si ricorderà quanto già espresso in Fine lavori prorogata per i bonus edilizi grazie alla remissione in bonis.
Secondo quanto “eccezionalmente” riportato nella definitiva stesura del D.L. 11/2023 articolo 2 quinquies è applicabile l’istituto della Remissione in Bonis ex art. 2 comma 1 DL 16/2012, ANCHE in tutti quei casi in cui alla data del 31 marzo 2023 la documentazione necessaria per l’apposizione del visto e l’inoltro della comunicazione dell’esercizio dell’opzione per la cessione del credito o sconto in fattura FOSSE CARENTE DEL CONTRATTO DI CESSIONE.
Testualmente la norma infatti recita :
1. La comunicazione per l'esercizio dell'opzione di cessione del credito di cui all'articolo 3, comma 10-octies, del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2023, n. 14, qualora il contratto di cessione non sia stato concluso alla data del 31 marzo 2023, puo' essere effettuata dal beneficiario della detrazione con le modalita' ed entro i termini di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, se la cessione e' eseguita a favore di banche, intermediari finanziari iscritti nell'albo previsto dall'articolo 106 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, societa' appartenenti a un gruppo bancario iscritto nell'albo di cui all'articolo 64 del medesimo testo unico o imprese di assicurazione autorizzate a operare in Italia ai sensi del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209)).
Si noti che la norma specificamente dice : “QUALORA IL CONTRATTO NON SIA STATO CONCLUSO”.
Quale significato bisogna dare a queste parole? cosa si deve intendere per “concluso”?
Se da una parte c’è chi sostiene che questa locuzione stia a sottintendere che comunque occorre che alla data del 31 marzo il CONTRATTO dovesse essere “in corso di stipula”, dall’altro, in termini strettamente pragmatici: un contratto O E’ VALIDO ed ESISTENTE oppure INVALIDO, NULLO, ANNULLABILE O INESISTENTE.
Giuridicamente è assolutamente sfuggente e sfumato il concetto di “CONTRATTO NON CONCLUSO”.
e certamente NON CHIARAMENTE DIMOSTRABILE.
Oltretutto in occasioni come questa la norma NON PREVEDE alcun obbligo di registrazione a seguito della stipula, quindi a maggior ragione PERCHE’ mai si dovrebbe aver lasciato traccia di un “intento volto a eseguire la compravendita”?
Si ritiene che nella sostanza la norma sia figlia di una reale situazione di emergenza operativa maturata a ridosso della scadenza.
E’ senza dubbio noto a tutti gli operatori del settore e a tutte le parti coinvolte che molte delle pratiche di cessione già prenotate e in corso di validazione presso alcuni dei più importanti Istituti di credito nazionali erano ingolfate da mesi e che più di una Società di Revisione atte alle verifiche documentali fosse in enpasse per vari inadempimenti o ritardi subìti nei vari contratti siglati.
La norma, molto presumibilmente, prendendo atto delle meritorie richieste delle parti, ha voluto mettere una pezza e salvare dal disastro i tantissimi contribuenti coinvolti.
Questo spiegherebbe il perché della frase ” qualora il contratto non sia stato CONCLUSO alla data del 31 marzo 2023″,
tuttavia,
è assolutamente lecito ritenere che ANCHE un contratto che dovesse essere siglato a ottobre 2023 (per esempio) con un Istituto di Credito col quale i contatti si sono avuti DOPO il 31 MARZO 2023, possa rientrare nella “eccezionale” remissione in bonis prevista per questo 2023.
Infatti, leggendo la legge , non c’è dubbio che anche quel contratto è CONCRETAMENTE E DI FATTO un atto che SI E’ CONCLUSO DOPO IL 31 MARZO 2023.
QUANTO COSTA LA REMISSIONE IN BONIS E SU CHI GRAVA?
Detto ciò, deve però considerarsi che se il contribuente ha effettuato due o più “interventi” all’interno della stessa opera edilizia, la comunicazione di opzione NON E’ una sola BENSì devono essere comunicate tante opzioni quante sono le diverse tipologie di lavori effettuati.
Tale circostanza determinerà, inevitabilmente, un incremento delle sanzioni e considerato che gli interventi “trainati” del Super Ecobonus sono davvero un numero considerevole, la beffa sarà che a parità di spesa ci sarà chi riuscirà a portare a casa una cessione del credito con una remissione in bonis che si sostanzierà in E. 250,00 di sanzione da versare, mentre per altri questa spesa potrà arrivare anche a 2.000,00.-
Si consideri ad esempio il caso in cui il contribuente abbia effettuato un intervento di tipo antisismico, un intervento di efficientamento energetico consistente nella sostituzione dell’impianto di climatizzazione invernale ed anche l’installazione di un impianto fotovoltaico con relativo sistema di accumulo. Ad ogni intervento corrisponde uno specifico codice per individuare lo stesso e il contribuente dovrà trasmettere telematicamente all’Agenzia delle entrate quattro diverse comunicazioni di opzione. In questo caso, quindi, effettuando le quattro comunicazioni dopo la scadenza del termine del 31 marzo 2023, il contribuente dovrà fruire quattro volte della c.d. remissione in bonis. La sanzioni da versare ammonteranno complessivamente a 1.000 euro.
Trattandosi di importo dovuto volto a “sanare” un adempimento amministrativo ormai scaduto, l’importo di 250 euro è da ritenersi fisso e legato al numero di comunicazioni di esercizio dell’opzione che devono essere trasmesse all’ Agenzia delle Entrate e NON MAI correlato alla cifra del credito contenuto all’interno della pratica.
Il risvolto grottesco di questa vicenda è che ci potrebbero essere situazioni in cui la comunicazione da inoltrare contiene un credito pari o addirittura inferiore alle 250 euro dovute e di tale valutazioni sarà assolutamente necessario tener conto presentando le pratiche alle banche.
Non è affatto situazione rara quella in cui le cessioni siano state fatte per SAL e non è così eccezionale che magari si sia lasciato all’ultimo step definitivo uno “spicciolo” di valore di un trainante per poi aver la possibilità legale di ottenere la cessione dei trainati rimasti indietro o per scelte operative o per necessità burocratiche contingenti.
A tal riguardo si ricordi la clamorosa e paradossale vicenda riguardante il ricevimento della e-mail per l’allacciamento del fotovoltaico.
Le situazioni assurde che si sono succedute nell’ambito delle Cessioni e Sconti in fattura per i Bonus Edilizi SEMBRANO non avere mai fine,
anche questa differenza di costi a parità di spese o addirittura, direi, INDIPENDENTEMENTE dalle spese sostenute, è la conferma di un sistema che effettivamente aveva bisogno di una decisa sterzata.
Se infatti, si può ritenere astrattamente corretto il principio del pagamento dei 250 euro a sanare un inadempimento la cui responsabilità è effettivamente del committente o dell’intermediario alla trasmissione della pratica,
nella versione concessa dal DL 11/2023 , ovvero quella che potremmo chiamare la “remissione in bonis eccezionale”, l’inadempimento in massima parte dei casi NON è dipeso dal privato committente bensì dal sistema bancario.
Per le tante pratiche incagliate NON era responsabilità del privato cittadino SE gli advisor delle piattaforme di verifica documentale avevano tempi di risposta biblici o addirittura (talvolta) inconcludenti o confusionari.
Senz’altro non è responsabilità del committente/contribuente SE l’istituto di credito non ha “fatto in tempo” ad andare in delibera per siglare il contratto di cessione, oppure se l’advisor non ha comunicato l’ok alla banca entro il 31 marzo 2023.
In questi casi, siamo proprio sicuri che sia corretto che la remissione in bonis debba essere a carico del cedente?
Siamo così certi che:
dopo che i prezzi delle compravendite dei crediti sono stati fissati dalle controparti senza alcuna possibilità di contrattazione vista la saturazione del mercato dei crediti
e visto lo sbilanciamento delle forze contrattuali in atto
sia così ovvio che il costo della remissione in bonis sia da addebitarsi al privato cedente?
Poteva lo Stato scegliere diversamente?
Credo che potesse.
In fondo si poteva almeno mediare nella “eccezionalità” della norma prevista nel DL 11/23 ed “eccezionalmente” si poteva forse dichiarare che solo per quelle pratiche la remissione in bonis la si riusciva ad ottenere sostenendo il pagamento di una “una tantum” omnicomprensiva di 250 euro INDIPENDENTEMENTE DAL NUMERO DI COMUNICAZIONI DI CESSIONE DEL CREDITO RELATIVE AD UN MEDESIMO EDIFICIO/COMMITTENTE DOVESSERO ESSERE DA FARE.
Potrebbe arrivare anche ora un orientamento a chiarimento in tal senso? Chissà.
Si sarebbe ancora senz’altro in tempo per molte pratiche.
Articolo di Fabiana Nesi
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Una opinione su "Remissione in Bonis a caro prezzo per le opere di efficientamento energetico"
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